Allergie alimentari, a che punto siamo con i diritti?

Lo abbiamo chiesto a Antonella Muraro, direttore del Centro per lo studio e la cura delle allergie alimentari dell’Università di Padova, e all’avvocato Marcia Podestà dell’Associazione Food Allergy. Oltre alle esperte, le testimonianze di chi convive con questa condizione: la neodiplomata Alessia, 19 anni, e Elena, mamma di una bambina gravemente allergica alle nocciole

In Europa ci sono 150 milioni di allergici. Si stima che 20 milioni di persone convivano con un’allergia di tipo alimentare. Sono in crescita sia negli adulti sia nei bambini i casi di reazioni gravi e potenzialmente letali. In Italia parliamo di un aumento, negli ultimi 20 anni, del 400% del numero di accessi ai pronto soccorso per anafilassi causata dall’esposizione a un allergene. Come si vive la quotidianità sapendo di poter incorrere involontariamente in una di queste reazioni?

Cos’è l’anafilassi?

Abbiamo chiesto cos’è l’anafilassi a Antonella Muraro, direttore del Centro per lo studio e la cura delle allergie alimentari della Regione Veneto presso l’Università di Padova: “I pazienti sono soggetti a reazioni sistemiche, vale a dire a reazioni che coinvolgono in maniera rapida o improvvisa tutti o la maggioranza degli apparati”. Ma non finisce qui: “Sono esposti a una certa incapacità da parte del pubblico di riconoscere la loro malattia, quindi vengono etichettati come paranoici. Se non esistono diritti degli allergici al momento, è perché questa patologia è banalizzata e sottovalutata”, spiega Muraro che sottolinea il peso psicologico che deve sopportare un allergico grave. “L’unico farmaco che permetta di contrastare e trattare una reazione anafilattica è l’adrenalina nella sua versione autoiniettabile: può essere portata ovunque, è stabile a temperatura ambiente”, illustra. Le linee guida europee sul fronte del farmaco salvavita però non vengono del tutto rispettate. ”Normalmente viene dato al paziente un solo iniettore: non c’è consapevolezza da parte dei medici che l’Ema ha invece deliberato, nel 2017, di dare due autoiniettori a tutti i pazienti a rischio”. Perché è di vitale importanza avere un autoiniettore di riserva? “In sede di episodio acuto, si crea del panico che può portare a una somministrazione errata oppure può rompersi l’ago, evenienze rare ma che possono capitare. Inoltre, i pazienti in sovrappeso possono aver bisogno di una seconda dose. Bisogna anche considerare che si può verificare una reazione bifasica, vale a dire che dopo la fase di remissione, la reazione può riprendere e occorre una nuova somministrazione”.

Il parere dell’avvocato

Le disposizioni dell’Ema sono largamente disattese, con delle differenze tra Nord e Sud e tra una zona e l’altra di una stessa regione. “La situazione in Italia oggi è disomogenea e ingiusta perché ci sono pazienti in alcune regioni che ne ricevono due di autoiniettori gratuiti, altri che non ne ricevono nessuno, perché non hanno accesso neanche alla diagnosi corretta”, conferma l’avvocato di Food Allergy Italia, Marcia Podestà. L’altro tema è quello dei percorsi terapeutici: “L’accesso a queste opzioni è davvero difficile, non sono disponibili in tutti i centri allergologici, ma solo in centri di eccellenza specializzati, le file sono lunghissime, improponibili”. Ma cosa intendiamo con percorsi terapeutici? “Tra gli allergici gravi c’è chi è più sensibile, quindi reagisce a minimissime quantità, anche per inalazione. Per questo parliamo di “soglie”: facciamo dei test per capire il livello di gravità, la possibilità del paziente di superare l’allergia o di fare un trattamento di immunomodulazione e immunoterapia per facilitare l’innalzamento della soglia di tolleranza. L’obiettivo è evitare che il paziente possa reagire a minime tracce”, spiega Muraro. La tempestività è fondamentale: “Si è visto che la diagnosi è tanto più importante, quanto più viene fatta precocemente: i bambini hanno maggiore possibilità di superare l’allergia sia spontaneamente sia con interventi di immunomodulazione, sotto stretto controllo medico, che risultano tanto più efficaci quanto più il bambino è piccolo”.

La testimonianza di una mamma

Abbiamo raccolto la testimonianza di Elena, mamma di una bambina allergica. “Abbiamo scoperto dell’allergia grave alle nocciole di mia figlia nell’estate del 2020, in modo del tutto casuale. Mia figlia aveva due anni e mezzo, per noi quello dell’allergia alimentare era un mondo completamente nuovo. Tutta contenta sono andata all’ufficio prenotazioni per prenotare il suo primo accesso e la prima data utile era quella del 10 gennaio 2024. Pensavo di aver capito male, invece era proprio così”. Ricapitolando, la scoperta della malattia alla soglia dei 3 anni, la prima visita all’età di 5 e il primo approccio  alla desensibilizzazione a 6. Elena racconta la sua frustrazione: “Tornata a casa dalla prima visita mi sono sentita crollare il mondo addosso. La verità è che i pazienti allergici aumentano di anno in anno, le risorse sono sempre meno e di conseguenza le tempistiche si allungano”. È in quel momento che Elena decide di portare all’attenzione delle istituzioni le falle del sistema allergologico italiano. Dopo una prima mail alla direzione dell’ospedale, decide di scrivere alla regione in cui è ubicata la struttura e poi a quelle in cui abita, perché Elena e sua figlia hanno dovuto spostarsi dall’Emilia-Romagna, sobbarcandosi le spese del caso, per la presa in carico da parte di un centro specializzato. Dopo mesi di tentativi, è ancora in attesa di risposte. “Le istituzioni devono sapere che qui qualcosa non funziona ma non funziona davvero”, scandisce.

Teenager allergici

La vera problematica però secondo Muraro, che è anche un medico pediatra, è fare educazione: “Bambini e giovani allergici sono spesso oggetto di bullismo”. Gli adolescenti in particolare sono la fascia più a rischio: non solo di attacchi da parte dei coetanei ma anche di anafilassi: “Spesso non si portano il farmaco salvavita. L’adolescente prova cibi proibiti, perché non vuole essere diverso e perché vuole integrarsi. Spera dentro di sé che il problema che l’ha oppresso sia passato”. È importante per questo seguirli anche da un punto di vista psicologico: “Quando i bambini sono piccoli, la patologia viene gestita dalla famiglia. Quando invece cominciano a crescere, perché è naturale e fisiologico, i ragazzi escono da soli e devono acquisire autonomia e indipendenza, imparare a gestire l’allergia”, aggiunge Podestà. Creare un ambiente protetto e una sensibilità diffusa sui diritti degli allergici è quindi cruciale: “Vogliamo che le persone possano essere incluse in tutte le attività della società e che anche i bambini e i ragazzi, soprattutto i minori durante gli anni di frequenza scolastica obbligatoria, possano vivere in modo sicuro le scuole, ricevano il diritto fondamentale e costituzionale all’istruzione e alla non discriminazione”.

La scuola: la testimonianza di Alessia

“Fin da piccola ho capito che avrei avuto una vita diversa dagli altri”, ci racconta Alessia, 19 anni. “Ho dovuto fare i conti con compagni di classe che non capivano la severità della mia allergia. La gente non riesce a comprendere le difficoltà che noi allergici affrontiamo tutti i giorni, delle paure che sperimentiamo anche banalmente uscendo per andare a fare la spesa, a mangiare fuori oppure a casa degli amici o a mensa”. A luglio Alessia si è diplomata in un liceo di biotecnologie sanitarie: “È stato complicato, ma siamo riusciti a trovare un modo perché io partecipassi alle esperienze di laboratorio in modo sicuro”. I problemi sono sorti per le attività sociali:  “Quest’anno la mia classe è andata per la prima volta all’estero, ma io a causa della mia patologia non ho potuto partecipare al viaggio d’istruzione, a causa dell’ignoranza e dell’incompetenza dell’agenzia di viaggio, perché non mi hanno fornito i numeri per contattare albergo e ristoranti. “Per chi soffre di allergie alimentari è molto importante organizzarsi in anticipo con i gestori dei locali”.

 

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“Tutto si festeggia a tavola. Provate a immaginare un bambino che si vede completamente escluso da tutti gli eventi sociali, perché la verità è che non vengono neanche invitati, c’è molta disinformazione sociale, e bisogna proprio capire che in realtà con poche semplici regole un pasto sicuro si può consegnare a una persona con allergia alimentare”, secondo l’avvocato. Deve però cambiare la cornice: “Fino a oggi gli operatori del settore alimentare non hanno ancora l’obbligo di linee guida per la gestione del cliente che soffre di allergia alimentare”, afferma Podestà. La professoressa Muraro sogna in grande: “Sarebbe opportuno stilare insieme a tutte le parti sociali un memorandum di quelli che sono i diritti e anche quelli che sono i doveri degli allergici: ad esempio, comunicare ai ristoratori o ai docenti la gravità delle loro allergie. Molti non lo fanno perché hanno paura di essere ghettizzati ed emarginati”. Un altro fronte su cui le associazioni dei medici e dei pazienti stanno combattendo è quello dell’accesso al farmaco salvavita. “C’è la proposta di avere l’adrenalina come il defibrillatore nei luoghi pubblici. Se è facile utilizzare il defibrillatore, lo è ancora di più utilizzare l’adrenalina autoinettabile”., garantisce Muraro. Un altro passo importante sarebbe da fare sul piano della prescrizione del farmaco. “Oggi in tutte le regioni tranne Veneto e Friuli.Venezia Giulia l’adrenalina deve essere prescritta dal medico della Asl e non dal medico di famiglia. E non può essere ritirata in qualsiasi farmacia”. Fattori che complicano la vita quotidiana dei pazienti.

Uno sguardo all’Europa

La mancanza di attenzione nei confronti dei diritti degli allergici non è però un problema solo italiano Sono stati gli stessi parlamentari europei con una interrogazione ad ammettere che “nonostante la loro allarmante diffusione e il carico sanitario associato, le allergie sono costantemente sottovalutate nei piani, nelle politiche e nei bilanci. Ciò si traduce, si legge nella nota, in un accesso limitato a diagnosi e trattamenti precoci e corretti, in un basso sostegno alla ricerca e, infine, in un aumento dei rischi per il paziente”. Ad oggi ancora non esistono delle regole valide per tutti gli Stati membri sul fronte dei già citati dispositivi di emergenza negli spazi pubblici.

Articolo di: Ludovica Passeri

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